Un tecnico suona il citofono, porta e contatore fanno rumore: è la scena che in molti condomìni e villette italiane si ripete sempre più spesso. Non si tratta solo di una sostituzione pratica, ma di un passaggio che modifica consumi, bollette e il modo in cui si riscalda la casa. Dietro a quel lavoro c’è spesso il Conto Termico, lo strumento del GSE che rimette in moto interventi di efficienza energetica con contributi concreti. Chi decide di tagliare la vecchia caldaia e puntare su tecnologia più efficiente non lo fa solo per il risparmio: lo fa per il comfort, per la qualità dell’aria in casa e per ridurre le emissioni.
Cosa copre il conto termico
Il programma incentiva principalmente la sostituzione di impianti di riscaldamento obsoleti con soluzioni a più elevata prestazione. In primo piano ci sono le pompe di calore, sia elettriche sia a gas, che garantiscono un salto di efficienza rispetto alle caldaie tradizionali. Sono ammessi anche i sistemi a pannelli solari termici per acqua calda sanitaria e per integrazione del riscaldamento, oltre alle caldaie a biomassa certificate, quando rispettano gli standard richiesti.

Il GSE chiarisce che l’intervento deve comportare la sostituzione di un impianto esistente: non vengono finanziati semplici ampliamenti o installazioni aggiuntive che non rimpiazziano la vecchia centrale termica. Un dettaglio che molti sottovalutano è la variabilità dell’importo: la percentuale di contributo dipende dalla tecnologia scelta e dalla zona climatica dell’immobile, per cui impianti più performanti e destinati a zone più fredde possono ottenere percentuali superiori.
Nel computo delle spese ammissibili rientrano anche costi accessori come la demolizione della vecchia caldaia, le opere idrauliche e l’installazione delle nuove unità. In casi favorevoli il contributo può raggiungere il 65% della spesa sostenuta, rendendo l’adozione di tecnologie pulite più accessibile alle famiglie e ai piccoli edifici nel Nord come nel Sud dell’Italia. Un aspetto che sfugge a chi vive in città è il risparmio complessivo nel ciclo di vita dell’impianto: non è solo la spesa iniziale a contare.
Come richiederlo e gli errori da evitare
Per ottenere il beneficio è necessario inoltrare la richiesta attraverso il portale del GSE, allegando la documentazione tecnica dell’impianto e le fatture che attestano le spese sostenute. La procedura è completamente digitale e comprende una verifica tecnica da parte del Gestore che accerta la conformità dell’intervento alle regole. Chi preferisce può usare la modalità prenotazione, che permette di conoscere l’importo del contributo prima di avviare i lavori: una sicurezza utile per chi programma gli interventi con budget limitato.
Un errore ricorrente è la perdita o l’incompleta conservazione delle certificazioni dei dispositivi installati: senza documentazione puntuale non si dimostra l’efficienza richiesta e la pratica può essere respinta. È inoltre fondamentale rispettare i termini amministrativi; ad esempio, la domanda va presentata entro 60 giorni dalla conclusione degli interventi, pena l’esclusione dal beneficio. Un fenomeno che in molti notano solo d’inverno è la difficoltà a recuperare pezzi di carta o certificati dopo qualche mese: organizzare subito la documentazione evita sorprese.
Il rimborso, quando l’intervento è ammesso, viene erogato direttamente sul conto dell’intestatario, con tempistiche che il GSE indica come brevi e, in diverse pratiche, compatibili con tempi di poche settimane fino a qualche mese. Per chi decide di sostituire la caldaia tradizionale con soluzioni più efficienti, il percorso richiede attenzione alle certificazioni, rispetto delle scadenze e controllo delle opere accessorie. In molte province italiane si vedono ormai cantieri domestici dove questi criteri sono seguiti: un segnale concreto che la transizione energetica sta entrando nelle case e cambiando il modo in cui si vive il riscaldamento domestico.
